Autore: Dott. Nicola Gentile
“Il video inserito nella seguente recensione è tratto da internet ed ha unicamente come finalità quella di fornire un esempio visivo di cosa può accadere in un caso di bullismo o presunto tale. Nel testo non verrà fatto in alcun modo riferimento a tale filmato e non sarà quindi spiegato cosa accade nel caso specifico. Inoltre non verrà indicato nè il luogo nè la dinamica del video. Qualora si riuscisse a risalire alle persone coinvolte nella presente registrazione filmica e questo fosse lesivo per le stesse, il video verrà immediatamente rimosso. Buona lettura”.
Il fenomeno del bullismo è assai noto e viene raccontato frequentemente alla televisione e sui media in generale, con spiegazioni di carattere sociologico, psicologico ed anche economico. Solitamente il bullo e la vittima attivano vissuti personali e talvolta emozioni forti nelle persone che ascoltano notizie inerenti tale argomento.
Molti sono i racconti ed i libri che parlano di compagni di classe irriverenti o cattivi, e molti sono entrati anche nella memoria collettiva. Come la stessa Ada Fonzi (Fonzi, 1999) descrive nella sua introduzione al testo da lei curato si possono ricordare i personaggi dei racconti di Pasolini oppure il personaggio di Franti nel libro Cuore Di Edmondo De Amicis (De Amicis, 1886). Famosa è la figura descritta dal piccolo protagonista del libro, Enrico, del suo compagno di classe:
<<Io detesto costui. È malvagio. Quando viene un padre nella scuola a fare una partaccia al figliuolo, egli ne gode; quando uno piange, egli ride. Trema davanti a Garrone, e picchia il muratorino perché è piccolo; tormenta Crossi perché ha il braccio morto; schernisce Precossi, che tutti rispettano; burla perfino Robetti, quello della seconda, che cammina con le stampelle per aver salvato un bambino. Provoca tutti i più deboli di lui, e quando fa a pugni, s’inferocisce e tira a far male. Ci ha qualcosa che mette ribrezzo su quella fronte bassa, in quegli occhi torbidi, che tien quasi nascosti sotto la visiera del suo berrettino di tela cerata. Non teme nulla, ride in faccia al maestro, ruba quando può, nega con una faccia invetriata, è sempre in lite con qualcheduno, si porta a scuola degli spilloni per punzecchiare i vicini, si strappa i bottoni dalla giacchetta, e ne strappa agli altri, e li gioca, e ha cartella, quaderni, libro, tutto sgualcito, stracciato, sporco, la riga dentellata, la penna mangiata, le unghie rose, i vestiti pieni di frittelle e di strappi che si fa nelle risse. Dicono che sua madre è malata dagli affanni ch’egli le dà, e che suo padre lo cacciò di casa tre volte; sua madre viene ogni tanto a chiedere informazioni e se ne va sempre piangendo. Egli odia la scuola, odia i compagni odia il maestro. Il maestro finge qualche volta di non vedere le sue birbonate, ed egli fa peggio. Provò a pigliarlo con le buone, ed egli se ne fece beffe. Gli disse delle parole terribili, ed egli si coprì il viso con le mani, come se piangesse, e rideva. Fu sospeso dalla scuola per tre giorni, e tornò più tristo e più insolente di prima. Derossi gli disse un giorno: – Ma finiscila, vedi che il maestro ci soffre troppo, – ed egli lo minacciò di piantargli un chiodo nel ventre. Ma questa mattina, finalmente, si fece scacciare come un cane.>> (Ivi, p. 79 – 80)
Questo breve scritto si pone come obbiettivo quello di dare qualche indicazione generica sul fenomeno, avvalendosi dei testi curati da Ada Fonzi (Fonzi, 1997, 1999) e scritti da vari autori. Lo scopo è quello di riassumere in breve i punti salienti del bullismo, non tanto per risolvere il fenomeno, cosa deputata ad insegnanti genitori e staff scolastico, quanto per dare qualche delucidazione facilmente accessibile ad un fenomeno che a quanto pare riguarda tutto il mondo.
Come scrive Ada Fonzi (Fonzi, 1999) il bullismo, o meglio le prepotenze coinvolgono tutta la nostra penisola e non solo. In uno studio da lei precedentemente condotto (Schneider e Fonzi, 1996) sull’amicizia aveva messo in correlazione i dati rilevati in un gruppo di ragazzi in Canada con i dati rilevati in Italia. Secondo l’autrice, e dai risultati ottenuti nei vari studi del bullismo, i bambini italiani pur essendo maggiormente soggetti a comportamenti aggressivi hanno la capacità di mantenere le amicizie come se avessero una sorta di anticorpi ad atteggiamenti aggressivi che però allo stesso tempo portano ad un maggior numero di comportamenti di bullismo. Si possono distinguere due tipi di comportamento aggressivo: proattivo nel quale chi picchia aggredisce; reattivo nel quale chi picchia si difende.
Lo studio del bullismo si inserisce nello studio dell’aggressività, e viene visto come un modello di aggressività proattiva. Tale aggressività avviene senza provocazione da parte del partner ed è rivolta a perseguire il fine dell’agressore. Essa viene distinta, per l’appunto, dalla forma di aggressività reattiva che si manifesta come reazione a condizioni antecedenti quali provocazioni o costrizioni varie.
Ci sono varie forme di bullismo, indiretto e diretto. La prima forma viene definita indiretta in quanto non viene agita faccia a faccia, o con aggressività, ma bensì attraverso maldicenze, tentativi di esclusione dal gruppo. La forma diretta si ha quando si fanno violenze in modo più continuativo e aggressivo.
Non si tratta di prepotenze quando due ragazzi all’incirca della stessa forza litigano tra di loro.
I casi in cui si tratta di prepotenze sono quelle in cui vi sono offese sia verbali che fisiche svolte da uno o più soggetti ai danni di una certa persona. Un rapporto tra pari che non è da pari si definisce come relazione asimmetrica.
Nel testo curato da Ada Fonzi vengono affrontati vari aspetti riguardanti il bullismo, in varie parti di Italia, e vengono messi sotto il riflettore dell’osservazione fattori come il sesso, la componente amicale, la condivisione tra esclusi ecc…
Il bullismo costituisce un blocco allo sviluppo del bambino. La nostra cultura per certi versi incentiva il bullismo, basti pensare a fenomeni di agressività del passato come il nonnismo nelle caserme o più recenti come il mobbing nelle aziende. Le indagini condotte in prospettiva life – span hanno evidenziato che i bulli abbiano molte probabilità di diventare adulti asociali spesso coinvoli in condanne penali, e le vittime persone tendenzialmente che possono sviluppare depressione o comportamenti di isolamento, ed in alcuni casi arrivare al suicidio (Tani,1999)
I ruoli nel bullismo vengono distinti dai ricercatori in base a vari elementi. Il ruolo è un insieme di attività o ruoli che ci si aspetta che una certa persona compia. La vittima non è vittima solo per il bullo ma è vittima anche per la classe.
Vengono distinti 4 tipi di figure: il bullo, la vittima, il bullo vittima o vittima provcatrice, ed infine i soggetti di controllo o esterni (Menesini, Ciucci, Tomada, Fonzi, 1999).
I meccanismi difensivi che mantengono inalterata la situazione sono riassunti in principalmente otto scale: giustificazione morale, etichettamento eufemisico, confronto vantaggioso, diffusione di responsabilità, dislocamento di responsabilità, distorsione di conseguenze, deumanizzazione della vittima, attribuzione di colpa
(Menesini, Fonzi, Vannucci, 1999).
In contrasto o forse in continuità con il concetto di ruolo fin qui espresso è da ricordare un aspetto del ruolo è cioè quello venuto fuori nel lavoro di Philip Zimbardo e del suo carcere. Uno degli aspetti salienti degli studi sul bullismo è quello della personalità del bullo e della vittima. Lo studio di Zimbardo dimostrerebbe l’esatto contrario e cioè che in persone prese a caso il ruolo di persecutore e perseguitato varia non dal punto di vista della personalità, ma solo per il ruolo ricoperto.
Ricordiamo in breve l’esperimento di Zimbardo come lui stesso lo descrive nell’introduzione al libro di sua moglie Cristina Maslach, sulla sindorme di burnout (Maslach, 1982).
<< La nostra prigione da farsa era popolata da “guardie buone” e “prigionieri buoni”; sapevamo che lo era perchè l’avevamo allestita così. >> (Ivi, p. 15)
Nonostante ciò il carcere prese la forma di un vero carcere e a seguito di episodi di vessazione e maltrattamenti reali, e non più da farsa, l’esperimento fu fermato con una settimana di anticipo. Una descrizione dettagliata si ha nel libro di Zimbardo (Zimbardo, 2007) in cui oltre a mostrare tutti i dati e le trascrizioni dei vari avvenimenti, fa un riferimento al caso in cui lui è stato chiamato a testimoniare come consulente di parte per la difesa di una guardia carceraria del carcere di Abu Ghraib in Irak.
Sul suo esperimento ecco cosa scrive:
<< L’Esperimento Carcerario di Stanford è cominciato come una semplice dimostrazione degli effetti di un complesso di variabili situazionali sul comportamento di individui nel ruolo di detenuti e guardie in un ambiente carcerario simulato. […] Tuttavia, con il passare del tempo, l’esperimento si è rivelato un’efficace illustrazione del ruolo potenzialmente tossico dei cattivi sistemi e delle cattive situazioni nell’indurre brave persone a comportarsi in modi patologici, estranei alla loro natura. […] La frontiera tra Bene e Male, un tempo ritenuta stagna, si è invece dimostrata piuttosto permeabile.>> (Ivi, p. 293)
Questo esperimento si pone in continuità con un altro famoso studio e cioè quello di Stanley Milgram (Milgram, 1974) sull’obbedienza all’autorità. Al di là del concetto di autorità la cosa che più risalta nell’esperimento è il fatto che persone potenzialmente innocue potessero infliggere punizioni (scosse forti di corrente) fino in fondo alla prensunta vittima, sotto la semplice rassicurazione dello sperimentatore che diceva “non provocano danni permanenti”. Tutto questo riporta al concetto di “Banalità del male” descritto dall’autrice Hannah Arendt (Arendt, 1963), nel quale descrive come persone apparentemente banali abbiano potuto partecipare ed avere un ruolo attivo ad uno dei più grandi crimini della storia, l’olocausto.
Concordo con l’autrice Ada Fonzi sulle possibili attività che prevengono, o meglio in alcuni casi possono limitare situazioni del genere e sul coinvolgimento di più livelli nel processo di comprensione del fenomeno. Nel resoconto delle strategie di interverto scolastico fatte dagli autori (Smorti e Menesini, 1997) vengono distinte varie modalità di intervento all’interno delle social skill training, in cui si tenta di lavorare in modo da migliorare le abilità sociali dei bambini che presentano difficoltà relazionali con i coetanei.
<< Alcuni programmi si basano sull’apprendimento per imitazione; altri su tecniche di insegnamento-addestramento o su interventi sociocognitivi di problem solving e di acquisizione di consapevolezza; un altro gruppo di ricerche, infine, ha attivato programmi per sviluppare l’attività cooperativa tra ragazzi.>> (Ivi, p. 177)
Questa categoria di interventi, presenterebbe secondo vari autori alcuni problemi ed in particolare
<< […] due limiti principali: 1) essere destinati in modo specialistico ad un gruppo di bambini e 2) essere realizzati da trainer esterni alla scuola. E’ quindi impensabile ipotizzare un cambiamento persistente nel tempo o una stabilità dei risultati in contesti scolastici diversi.
Nell’ambito degli interventi tesi a potenziare la competenza sociale dei ragazzi e l’adattamento nel contesto scolastico, diventa quindi rilevante proporre un approccio ecologico e sistemico in grado di attivare un processo di cambiamento non solo tra i bambini target ma anche nel clima e nelle norme del sistema scolastico nel suo complesso. Un tale processo si incentra sui meccanismi e sulle variabili di sistema più che su attività specifiche del programma.[…]
Per realizzare un intervento di tipo sistemico occorre tener conto dei diversi livelli in cui esso si articola: 1) il livello individuale, formato dai singoli insegnanti, studenti e amministratori; 2) il gruppo di aapprendimento e la classe; 3)l’organizzazione della scuolae 4) l’ambiente esterno. >> (Ivi, p. 179)
In definitiva si possono trarre alcuni spunti. Secondo gli studi sul bullismo vari fattori possono essere causa scatenante del fenomeno. Per alcuni autori il bullo e la vittima possono essere messi sullo stesso piano, perchè entrambi giocano un ruolo nella diade. Per altri il ruolo non è dovuto a fattori meramente personali o a particolari fenomeni sociologici od economici. Ma viene dimostrato come basti il caso a creare una vittima od un persecutore. In entrambe le circostanze rimane così inalterato il quadro di “colpe”, se così le possiamo chiamare. E quindi si comprende come può essere complicato un intervento in una struttura psicologica così complessa, in cui non si comprende bene come e cosa scatena il fenomeno, non si può fare a meno che accada, e non si può neanche intervenire in modo deciso, se non per limitare l’aggressività dannosa.
Citiamo la fine del romanzo di Golding (1954), il quale sosteneva che “l’uomo produce il male come le api producono il miele”. Questa tragica visione dell’uomo derivava certamente dall’esperienza del secondo conflitto mondiale. Nel suo romanzo un gruppo di studenti sopravvive ad un incidente aereo su un’isola deserta, e quando vengono tratti in salvo questo è quello che accade ad uno di loro mentre cerca di spiegare cosa è accaduto:
<< Ralph lo guardò senza parlare. Per un attimo ebbe una fuggevole visione dello strano alone d’avventura che una volta splendeva sull’isola. Ma l’isola stava bruciando come legna secca, Simone era morto, e Jack aveva… Gli sgorgarono le lacrime e fu scosso da singhiozzi. Per la prima volta da quando era sull’isola si abbandonò al pianto, a un grande spasimo di dolore che lo scuoteva tutto. Il suo pianto risuonava sotto il fumo nero, davanti all’incendio che distruggeva l’isola, e presi dalla stessa commozione anche gli altri bambini cominciarono a singhiozzare. In mezzo a loro, col corpo sudicio, i capelli sulla fronte e il naso da pulire, Ralph piangeva per la fine dell’innocenza, la durezza del cuore umano, e la caduta nel vuoto del vero amico, l’amico saggio chiamato Piggy.>> (Ivi, p. 239)
Bibliografia.
– Arendt, H. (1963). Eichmann in Jerusalem. A Report of the Banality of Evil. New York: Viking Press [trad. it. a cura di Piero Bernardini, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme (1964)(2011)(18 ed.). Milano: Feltrinelli Editore].
– De Amicis, E. (1886)(2013). Cuore. Varese: EdiRem Editrice Remainder.
– Fonzi, A. (1997). Al termine del percorso. In A. Fonzi (a cura di), Il bullismo in Italia. Il fenomeno delle prepotenze a scuola dal Piemonte alla Sicilia. Firenze: Giunti Gruppo Editoriale.
– Golding, W. (1954). Lord of the flies. London: Faber and Faber [trad.ita cura di Filippo Donini, Il Signore delle Mosche. (1966)(1992). Milano: Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.].
– Maslach, C. (ed. or. 1982). Burnout – The cost of caring. New York: Prentice Hall Press, Inc. [trad. it. a cura di Anna Rita Vignati e Manlio Lucentini, La sindrome del Burnout: il prezzo dell’aiuto agli altri (1997)(2 ed.). Assisi: Cittadella Editrice].
– Menesini E., Smorti, A. (1997). Strategie d’intervento scolastico. In A. Fonzi (a cura di), Il bullismo in Italia. Il fenomeno delle prepotenze a scuola dal Piemonte alla Sicilia. Firenze: Giunti Gruppo Editoriale.
– Menesini E., Ciucci, E., Tomada, G., Fonzi, A. (1999). Il bullismo a scuola: alcune questioni di metodo. In A. Fonzi (a cura di), Il gioco crudele. Studi e ricerche sui correlati psicologici del bullismo. Firenze: Giunti Gruppo Editoriale.
– Menesini E., Fonzi, A., Vannucci, M. (1999). Il disimpegno morale: la legittimazione del comportamento prepotente. In A. Fonzi (a cura di), Il gioco crudele. Studi e ricerche sui correlati psicologici del bullismo. Firenze: Giunti Gruppo Editoriale.
– Milgram, S.(1974). Obedience to Authority: an experimental view. New York: HarperCollins Publishers Inc. [trad. it. a cura di Roberto Ballabeni, Obbedienza all’autorità. Uno sguardo sperimentale (2003). Torino: Giulio Einaudi editore S.p.a.].
– Tani, A. (1999). Il bullismo come malessere evolutivo. In A. Fonzi (a cura di), Il gioco crudele. Studi e ricerche sui correlati psicologici del bullismo. Firenze: Giunti Gruppo Editoriale.
– Schneider, B.H. Fonzi, A.(1996) La stabilità dell’amicizia: uno studio crossculturale Italia – Canada in Età Evolutiva. Rivista di Scienze dello sviluppo n° 54. Firenze: Giunti Gruppo Editoriale
– Zimbardo, P.G. (2007). The Lucifer Effect. How Good People Turn Evil. New York: Random House [trad. it. a cura di Margherita Botto, L’effetto Lucifero. Cattivi si diventa? (2008). Milano: Raffaello Cortina Editore].