Autore: Beatrice Maiani
Il termine alessitimia ha origine greca, letteralmente significa “emozioni senza parole”. Tale concetto ha cominciato a diffondersi nei primi anni 70, in seguito alle osservazioni effettuate da Nemiah e Sifneos finalizzate a delineare un insieme di caratteristiche di personalità, evidenti nei pazienti psicosomatici che manifestano un disturbo specifico nelle funzioni affettive e simboliche, quali difficoltà ad esprimere verbalmente le emozioni, scarsità di fantasia, stile comunicativo sterile ed incolore. Ad oggi esiste un consenso in letteratura sulla definizione di alessitimia, ovvero:
difficoltà ad identificare i sentimenti e distinguerli dalle sensazioni somatiche; difficoltà nel descrivere e comunicare emozioni e sentimenti alle altre persone; processi immaginativi limitati;
stile cognitivo orientato esternamente.
Solitamente gli individui alessitimici oltre a possedere un pensiero simbolico nettamente ridotto o assente mostrano anche una sorprendente difficoltà a riconoscere e descrivere i propri sentimenti ed a discriminare tra stati emotivi e sensazioni puramente corporee; tradendo tale ridotto funzionamento emotivo anche attraverso rigidità nei movimenti e mancanza di espressività del volto. Grazie alla capacità empatica si è in grado di leggere e capire non solo le emozioni espresse a parole ma anche, e soprattutto, quelle che più o meno consapevolmente sono espresse con i canali non verbali. Il soggetto alessitimico è sprovvisto, o quasi, di tale capacità empatica, rendendosi quindi incapace di instaurare rapporti interpersonali ad un livello più profondo: non riesce a “decodificare” ed apprendere il significato delle espressioni verbali e non verbali alla base di ogni processo comunicativo.
Un aspetto fondamentale da sottolineare a questo punto riguarda il concetto di alessitimia in relazione ad un modello di inibizione: il soggetto alessitimico non inibisce o nega le emozioni, semplicemente non riesce ad esprimerle. Taylor, Bagby e Parker (1997) hanno quindi considerato l’alessitimia un disturbo dell’elaborazione degli affetti che va ad interferire con i processi di auto-regolazione e riorganizzazione dell’organismo. Nonostante la scarsa capacità di entrare in contatto con la propria realtà psichica e con i propri stati emotivi e l’impossibilità di sintonizzarsi sui sentimenti e vissuti altrui, in genere le persone alessitimiche sembrano socialmente ben adattate. Andando ad approfondire, appare altresì evidente che le relazioni con l’altro si fermano ad un livello esclusivamente superficiale, facendo trasparire tutta l’inconsistenza di tale “buon” adattamento sociale.
Ad oggi, il costrutto dell’alessitimia è considerato uno dei possibili fattori di rischio nel predisporre a disturbi somatici e psichiatrici conseguenti ai problemi di regolazione affettiva. Una disfunzione organica di base, ma soprattutto la presenza di uno specifico ambiente sociale-evolutivo che inibisce l’espressione emotiva, sembrano essere tra i fattori responsabili della comparsa dell’alessitimia; ipotesi per altro confermata dalla maggioranza di uomini alessitimici rispetto alle donne e da una maggiore propensione di queste ultime al comportamento empatico. L’incapacità di esperire a pieno il proprio mondo affettivo e la mancanza di empatia con gli affetti altrui possono mettere il soggetto a forte rischio per quanto riguarda il proprio equilibrio psicofisico.
Molti teorici sottolineano la grande importanza delle relazioni oggettuali precoci nello sviluppo emotivo in quanto la capacità di regolare le emozioni si apprende nell’infanzia. La prolungata mancanza di sintonia emozionale tra genitori e figli si ripercuoterebbe sul bambino, che ne risentirebbe in termini emozionali. Quando un genitore non manifesta alcuna empatia verso i bisogni e le emozioni del bambino questi comincerebbe ad evitare di esprimerli, forse addirittura di provarli. In questo quadro l’alessitimia è stata associata ad un tipo di attaccamento insicuro-evitante, caratterizzato da un bisogno talora ossessivo di attenzioni e cure che spesso porta a stabilire relazioni interpersonali fortemente dipendenti ricevendone una irrisoria gratificazione oppure, al contrario, ad evitare gli altri, isolandosi.
Caratteristiche dell’alessitimia si presentano in molte problematiche, soprattutto in merito alle dipendenze, in cui un’emozione non regolata ed elaborata, si manifesta sotto forma di azione. L’incapacità di modulare le emozioni mediante l’elaborazione cognitiva può essere alla base della tendenza dei soggetti alessitimici a cercare di liberarsi da tensioni provocate da stati emotivi sgradevoli mediante comportamenti compulsivi. La scarsa immaginazione impedisce la riduzione di tali stati d’animo, ansia in primis, attraverso la fantasia, i sogni e il gioco. L’attività ludica è di per se’ una risorsa, in quanto permette di sperimentare affetti positivi di interesse e gioia, altrimenti non vissuti.
Il compito del terapeuta è quello di aiutare i pazienti alessitimici ad esprimere, riconoscere e gestire le proprie emozioni tenendo conto delle carenze di tali soggetti, soprattutto in relazione alla dimensione cognitivo/esperenziale ed interpersonale. Si può dunque intervenire favorendo una ristrutturazione cognitivo-affettiva della personalità mediante un vero e proprio programma di educazione razionale-emotiva finalizzato al raggiungimento della consapevolezza delle proprie reazioni emotive e della relazione esistente tra pensieri e stati d’animo; facilitando quindi lo sviluppo della cosiddetta “intelligenza emotiva”.
L’alessitimia e i problemi di regolazione affettiva sembrano però essere tra i più rilevanti fattori che incidono sull’efficacia delle terapie psicodinamiche e tra le principali cause di drop-out e di ricadute dei pazienti (Taylor & al.). Con pazienti gravemente alessitimici “sono caratteristici alcuni elementi controtrasferali: il terapeuta prova spesso un senso di frustrazione, noia e appiattimento emotivo, quali sentimenti indotti dal paziente con i suoi resoconti meticolosi e dettagliati, ma emotivamente del tutto inconsistenti” (Cantelmi & Sarto, 1999, p. 43).
Date le difficoltà centrali del funzionamento alessitimico, una terapia psicodinamica centrata sull’introspezione e sull’interpretazione dei sintomi può portare ad uno stallo della terapia, iperinvestigazione ed esasperazione dei sintomi somatici, addirittura rinforzare il senso di non comprensione di sè (Taylor & al; Bruch, 1962, 1973). Occorre quindi identificate delle strategie terapeutiche alternative che favoriscano il riconoscimento, la denominazione e la gestione degli affetti, all’interno di una relazione caratterizzata dal “contenimento” e dalla disponibilità empatica dello psicoterapeuta; al cui scopo è apparso utile combinare interventi psicoterapeutici con tecniche comportamentali che si concentrano direttamente sulle sensazioni corporee (rilassamento, training autogeno e biofeedback) finalizzate ad accrescere nel paziente la consapevolezza della relazione tra sensazioni ed eventi ambientali, oltre che le proprie capacità di autoregolazione. La letteratura sembra inoltre indirizzare verso terapie di supporto, a orientamento cognitivo o a forme modificate di terapia psicodinamica.
Molti casi si sono però rivelati “impermeabili” a vari tentativi di ricostruzione dello stile affettivo.
La terapia di gruppo è considerata per molti pazienti alessitimici una valida alternativa o un’aggiunta importante, in quanto il confronto con altri offre una gamma più ampia di situazioni interpersonali che consentono di esperire ed imparare a conoscere le varie emozioni.
Per quanto riguarda nello specifico la validità terapeutica del doppiaggio su pazienti alessitimici, questa è solo ipotizzabile ed allo stesso tempo deducibile; mi spiego: non esisono al momento specifici studi volti ad indagare questo aspetto ben preciso ma l’uso del teatro e dello psicodramma, anche con pazienti psichiatrici, è decisamente diffuso anche se sempre in concomitanza ad altre terapie. Allo stesso modo è riconosciuto il valore catartico e liberatorio dell’assumere un ruolo all’interno di un contesto protetto, identificarsi in qualcun altro consente di esprimersi e comportarsi “come se”, mettendosi alla prova in situazioni potenzialmente critiche, sperimentandosi, senza il peso delle eventuali conseguenze nel mondo reale. L’applicazione di questa tipologia di tecniche è molto vasta, ed utilizzabile in un così ampio raggio di situazioni da comprendere sia patologie lievi che casi gravi quali psicosi. Le correnti applicazioni dello psicodramma si rivolgono infatti all’ambito clinico, sociale, educativo, creativo e per attività di ricerca.
Tale efficacia di recitare una parte è validata da una delle più straordinarie e recenti scoperte delle Neuroscienze: i Neuroni a specchio. Si deve a Vittorio Gallese l’individuazione del modo in cui specifiche aree del nostro cervello (area di Broca e corteccia parietale inferiore) solitamente legate alla gestione del movimento, sembrano dotate di neuroni che non solo si attivano quando compiamo una certa azione ma anche semplicemente osservando la stessa azione compiuta da un altro soggetto. Possiamo quindi dedurre che l’osservazione dell’altro non ci rende osservatori passivi ma è presente una reciprocità che ci lega a livello pre-verbale e pre-razionale.Allo stesso modo i neuroni specchio si attivano quando viviamo una particolare emozione o osserviamo altre persone vivere un’emozione: infatti, secondo i ricercatori i neuroni specchio possono mandare messaggi al sistema limbico o emotivo del cervello aiutandoci a sintonizzarci sui sentimenti della persona che stiamo guardando.
Alcuni scienziati considerano la scoperta dei neuroni specchio una delle più importanti della neuroscienza negli ultimi dieci anni. E’ noto che uno dei meccanismi fondamentali dell’interazione sociale è identificabile nell’imitazione; l’individuo è in grado di imitare il simile perché il nostro cervello “risuona” assieme a quello della persona che stiamo osservando: il neurone dell’osservatore “rispecchia” quindi il comportamento dell’osservato, come se stesse compiendo l’azione egli stesso.
Seguendo questo discorso, soprattutto con pazienti alessitimici dovrà essere dato molto spazio all’educazione emotiva, così che i pazienti imparino gradualmente a sostituire parole (che descrivano i loro stati interni) alle azioni disadattive, come l’ingestione di una droga o di cibo, o ai sintomi fisici. Solamente imparando a desomatizzare e differenziare le proprie emozioni e ad esternarle per mezzo del linguaggio, il paziente comincerà a conoscere e “mentalizzare” il proprio mondo interno, a dare senso alla propria storia, ad integrare le esperienze vissute in un quadro significativo.
Si dimostra inoltre importante tentare di comprendere il significato terapeutico degli eventi nella vita quotidiana del soggetto; si parla di “esperienza emotivo correttiva”: sotto l’influenza di specifiche esperienze emotive ed intellettuali il paziente diventa in seguito capace di avere esperienze positive nella vita ed i progressi terapeutici, in parte, derivano da queste esperienze di vita. Occorre quindi riconoscere l’effetto della vita quotidiana di ciascuno e, solo se strettamente necessario, interferire su di essa. L’influenza sull’Io dell’esperienze quotidiane è tanto grande e spesso molto più grande di quella delle mere sedute terapeutiche anche se il principio di base è lo stesso: riesporre il paziente, sotto circostanze più favorevoli, a situazioni emotive che lui non potè affrontare nel passato; deve passare attraverso una esperienza emozionale correttiva finalizzata a riparare l’influenza traumatica di esperienze precedenti e questo può avvenire parallelamente alla terapia nella vita quotidiana del paziente.
Anche attraverso la recitazione e l’assunzione di un ruolo si sperimenta quindi tale situazione emozionale correttiva: il paziente diventa più capace di far fronte alla situazione a cui aveva dovuto soccombere anche grazie all’importanza delle interazioni empatiche con l’altro, che determinano una validazione della sua esperienza intrinseca, oltre all’esperienza di sicurezza fornita dall’ambiente terapeutico, non di giudizio ma di comprensione.
Per concludere, è spesso presente il parallelismo tra arte e terapia: esistono molte similitudini e condizioni che portano ad avvalorare il valore catartico liberatorio di ogni forma di arte.
Antonio Di Benedetto ad esempio ritiene che ogni creazione artistica sia in sintonia con il mondo intrapsichico e emotivo dell’uomo, evidenziando la similitudine della fruizione dell’opera d’arte con l’ascolto del paziente per il terapeuta. Le modalità di comunicazione dell’ artista e dell’analista affondano le loro radici in una matrice comune che è il linguaggio pre-verbale. Putrella definisce la seduta psicoanalitica come “spazio artistico” dove il terapeuta alla stregua dell’attore – interprete – improvvisatore, lavora su un canovaccio e sa essere portatore di quelle parti e aspetti che non sono visibili al paziente all’interno di un processo creativo associato ad un processo introspettivo che consegue a una creazione di sé, quindi alla generazione di nuovi pensieri ed emozioni.
Letture suggerite
“Dal teatro allo psicodramma analitico” di Roberto Pani, Donata Miglietta; 2006;pp. 192,2006.
“Gli analfabeti delle emozioni”, in ‘Psicologia Contemporanea’,T. Cantelmi, A. Sarto,n. 154,lug.-ago. 1999.
“The Effects of Being the Protagonist in Psychodrama.” By: Kwang Woon Kim. Journal of Group Psychotherapy, Psychodrama, & Sociometry, Winter2003, Vol. 55 Issue 4, p115-127, 13p.
“Group Psychotherapy for People With Intellectual Disabilities: The Interactive-Behavioral Model.” By: Tomasulo, Daniel J.; Razza, Nancy J.. Journal of Group Psychotherapy, Psychodrama, & Sociometry, Summer2006, Vol. 59 Issue 2, p85-93, 9p.
“Day by Day — Role Theory, Sociometry, and Psychodrama With Adolescents and Young Women.” By: Daniel, Sue. Journal of Group Psychotherapy, Psychodrama, & Sociometry, Winter2006, Vol. 58 Issue 4, p195-205, 11p.
“The role of sound intensity and stop-consonant voicing on McGurk fusions and combinations.” By: Colin, C.; Radeau, M.; Deltenre, P.; Demolin, D.; Soquet, A.. European Journal of Cognitive Psychology, Oct2002, Vol. 14 Issue 4, p475-491, 17p.
“Play, Fantasy, and Symbols: Drama with Emotionally Disturbed Children.” By: Irwin, Eleanor C.. American Journal of Psychotherapy, Jul77, Vol. 31 Issue 3, p426, 11p.
“Art and Drama: Partners in Therapy.” By: Irwin, Eleanor C.; Rubin, Judith A.; Shapiro, Marvin I.. American Journal of Psychotherapy, Jan1975, Vol. 29 Issue 1, p107, 10p.
“Drama therapy and psychodrama: An integrated model.” By: Emunah, Renee. International Journal of Action Methods, Fall97, Vol. 50 Issue 3, p108, 27p, 1 diagram.
“Drama therapy as a means of rehabilitation for schizophrenic patients: Our impressions.” By: Bielanska, Anna; Cechnicki, Andrzej. American Journal of Psychotherapy, Oct91, Vol. 45 Issue 4, p566, 10p.
“The effects of dramatic play upon cognitive structure and development.” By: Ghiaci, Golshad; Richardson, John T. E.. Journal of Genetic Psychology, Mar80, Vol. 136 Issue 1, p77, 7p.
“Alessitimia: Valutazione e trattamento” a cura di Caretti, V.; La Barbera; 2005; 208 p; Astrolabio Ubaldini.
“Teoria e clinica della alessitimia” di Bressi Cinzia; Invernizzi Giordano; 1994, 113 p.; La Goliardica Pavese.
“I disturbi della regolazione affettiva. L’alessitimia nelle malattie somatiche e psichiatriche.” Groeme J.R., Michal Bagby, James D.A. Parker.( a cura di) Mario Speranza, 2000. Grotstein J. S. (1997), Alexithymia: the exception that proves the rule of the unusual significance of affects, in Taylor G. J., Bagby R.M., Parker J. D. A., Disorder of affect regulation, Cambridge Universities Press, 11-18. Taylor G.J., Bagby R. M., Parker J. D. A. (1997), Disorders of affect regulation: alexithymia in medical and psychiatric illness, Cambridge University Press, Cambridge, trad. It. Disturbi della regolazione affettiva. Giovanni Fioriti, Roma, 2000.